Chiamami col tuo nome (2017)

Ho finalmente visto Chiamami col tuo nome, anzi: Call Me By Your Name in originale e coi sottotitoli. Ero un po' prevenuto perché di Guadagnino avevo visto Io sono l'amore, l'avevo trovato tedioso e artificioso, e sapevo che quest'ultimo film era la conclusione di una trilogia cominciata con quello lì. Confesso tranquillamente che mi sono sorpreso a trovarlo quasi piacevole, confezionato decentemente e non pesante, nonostante superi le due ore.
Anche stavolta ho apprezzato molto la fotografia, le inquadrature ben curate, i costumi e le scelte musicali, le citazioni cinematografiche.
Temevo di non apprezzare altro.
Ho trovato invece con sollievo che le scene di sesso/amore erano trattate con meno compiacimenti estetizzanti e lungaggini che m'avevano infastidito in Io sono l'amore. Ho trovato buffa la scelta retrò di girare la camera verso il paesaggio fuori dalla finestra durante l'amplesso tra i due protagonisti maschili. Forse quel tocco di prudenza – o proprio d'imbarazzo a trattare l'omosessualità - del regista è stato d'aiuto, è servito ad alleggerire il tutto.
Peccato però che siano rimaste alcune cose non del tutto convincenti, in alcuni casi direi sbavature, come i compiaciuti sfoggi d'erudizione nella prima parte o il saltellare tra troppe lingue nelle conversazioni famigliari. E ancora: l'inutile e mal scritta scena della discussione politica su Craxi e l'altrettanto superflua apparizione della coppietta gay attempata, di cui non se ne capisce il senso visto che arriva e riparte senza avere alcuna influenza sulla storia e fa solo un po' di (sbiadito) colore.
Poi, proprio a ridosso della fine, c'è il passo falso vero e proprio: il lungo e ridondante sproloquio del padre fin troppo comprensivo. Ecco: una cosa didattica e stucchevole, temevo di precipitare in un film di Ozpetek. Si poteva tranquillamente eliminare la lunga scena, tanto è già fin troppo chiaro dall'inizio della pellicola (è stato girato in 35 mm) che il padre è il più gay - ancorché represso - di tutti e che vive attraverso il figlio il sogno di un amore omo che non può o non vuole concedersi. Io avrei risolto il tutto con una scena brevissima possibilmente non parlata, in cui si fosse semplicemente mostrato l'affetto indulgente del genitore.
Per fortuna che poi la più sobria scena finale davanti al fuoco ripara in parte il danno fatto.
Quello dei genitori moderni e poliglotti è uno dei tasti dolenti del film: li ho trovati piuttosto vacui e inconsistenti, figure di radical chic non ben delineate, mentre mi ha decisamente convinto il giovane Timothée Chalamet e mi pare che il bel Armie Hammer se la sia cavata molto bene, anche se ad esser pignoli è evidente sia un trentenne e non il ventiquattrenne dichiarato del personaggio.
Mi ha sorpreso la scena della pesca, e penso che in mani diverse da quelle un po' schizzinose di Guadagnino tutto il film avrebbe potuto diventare davvero intrigante. Fosse comunque uscito così com'è trent'anni fa questo film sarebbe stato una bomba, avrebbe fatto discutere.
Il punto forse è proprio questo: Chiamami col tuo nome è gradevole e complessivamente ben girato, ma è anche totalmente innocuo, superato da altri film o telefilm usciti già anche da decenni.
Call Me By Your Name è il tipo di film che mostra i gay come piacciono agli eterosessuali quando si prendono sul serio e non vogliono scadere nelle solite macchiette tipiche della commedia all'italiana. Belli, puliti, colti, un pochino tormentati: basta così. Mai che si veda Armie Hammer coi capelli in disordine, la barba mal fatta o le occhiaie dopo una notte insonne, per dire. Mai che sbaglino un abbinamento coi vestiti, naturalmente. Mai che facciano qualcosa di davvero sgradevole e banale, mai che si mostrino altri lati, quelli che inquietano l'eterosessuale medio, quelli bollati come "stile di vita" storcendo il naso in un misto di riprovazione e invidia.
Anche ai gay tra i 45 e i 55 anni piacerà il film, per la nostalgia che può suscitare verso quell'ormai mitico decennio: gli anni '80 colle canzonette synth-pop, i pomeriggi estivi assolati e deserti, i jeans comodi e a vita alta, i ricordi delle prime esperienze sessuali e dei primi amori in un relativamente piccolo mondo ancora innocente, appena uscito dagli anni di piombo e non ancora schiavo della tecnologia, ignaro di Černobyl e soprattutto dell'incombente disastro AIDS.






















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